NELLA FRAGILITÀ DI DIO IL SEGRETO DELLA VITA (Gv 6,51-58)

Per i contemporanei di Gesù di Nazaret era normale considerarlo di origine puramente umana, non quindi “disceso dal cielo”. Così la prima comunità credente, chiamata a credere che il Padre non manda un Messia qualsiasi, ma il proprio Figlio. Forse anche oggi tante persone collocano Gesù tra i profeti o i liberatori falliti della storia. Nella situazione di incredulità e di rifiuto da cui è circondato, Gesù guarda al futuro e dice che, malgrado tutto, diventerà “Pane della vita”. Lo diventerà perché, pur essendo Figlio, si è fatto Figlio dell’uomo, si è fatto “carne”, un essere debole. Sarà pane per gli altri nella totale debolezza, quando si donerà per la vita del mondo.

La mia carne per la vita del mondo. Costruendo la sua omelia eucaristica, Giovanni non pensa soltanto all’eucarestia sacramento, ma all’intera esistenza di Gesù e, nel contempo, al progetto di vita del discepolo. Gesù viene dal cielo, Gesù è colui che si offre per la vita del mondo. Sono questi due aspetti che definiscono Gesù nella sua persona e nella sua missione. Il testo ci parla della vita che Gesù è chiamato a percorrere per divenire, malgrado il rifiuto degli uomini, segno vero dell’amore del Padre, il quale vuole che il mondo si salvi per mezzo del Figlio. Per realizzare e aprire agli uomini la via della vita, Gesù deve donarsi in tutta la sua debolezza fino alla morte.

Gesù ripete per otto volte: “Chi mangia la mia carne vivrà in eterno”. Gesù insiste sul perché mangiare la sua carne: per semplicemente vivere, per vivere davvero. Altro è vivere, altro è solo sopravvivere. Gesù possiede il segreto che cambia la direzione, il senso, il sapore della vita.

La vita eterna non è una specie di “trattamento di fine rapporto”, di liquidazione che accumulo con il mio lavoro e di cui potrò godere alla fine dell’esistenza. La vita eterna è già iniziata: una vita diversa, profonda, giusta, che ha in sé la vita stessa di Gesù. Si è fatto uomo per questo, perché l’uomo si faccia come Dio. La nostra persona diventa il luogo della presenza di Dio, dove l’amore trova casa. Amare crea una dimora. E vale per Dio e per l’uomo. Gesù vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, perché ci incamminiamo a vivere l’esistenza umana come l‘ha vissuta lui. Noi mangiamo e beviamo la vita di Cristo, quando cerchiamo di assimilare il nocciolo vivo e appassionato della sua esistenza, quando ci prendiamo cura con combattiva tenerezza degli altri, del creato e anche di noi stessi. Facciamo nostro il segreto di Cristo, e allora troviamo il segreto della vita.

Il mangiare carne umana è nell’A.T. segno di situazioni spaventevoli e della maledizione di Dio. Bere il sangue degli animali è ancor oggi severamente proibito tra gli Ebrei. Il sangue è vita, e la vita appartiene a Dio. Per questo, nei sacrifici, doveva essere sparso sull’altare del Signore, a cui appartiene la vita.

Gesù parla di “masticare” la sua carne, di bere il suo sangue: è un vero annuncio di morte e resurrezione. Il sangue infatti non può essere bevuto se prima non è sparso, e la carne non può essere mangiata, se non viene ucciso. Gesù è però cosciente di “dare la sua cane per la vita del mondo”. Attraverso il suo sacrificio e la sua morte, diventerà per gli altri sorgente di vita. Il credente è chiamato ad accogliere come “donato”, Gesù. Dio vuole che quella vita donata di Gesù sia anche totalmente dell’uomo: “chi mangia me, vivrà per me”, cioè dimora in me, è in comunione con me e con il Padre, non può morire perché ha in sé la vita eterna, perciò vivrà in eterno. Per avere fin d’ora quella vita eterna, che sarà piena nella resurrezione, è necessario entrare in comunione con Gesù. Bisogna passare dall’ascolto, allo spezzare insieme il pane per accogliere totalmente Gesù “donato fino alla morte”, ma vivo.

Prendete e mangiate! Parole che ci sorprendono: Gesù vuole stare nelle nostre mani come dono, nella nostra bocca come pane, nell’intimo nostro come sangue, respiro: vuole che tutta la sua vita, la sua vicenda umana diventi la nostra: il suo respiro, le sue mani di carpentiere, le sue lacrime, tutta la sua vita fino alla sua carne inchiodata, fino al sangue versato, diventa la nostra. Mangiare e bere Cristo, significa essere in comunione con il suo segreto di vivere: l’amore. Cristo possiede il segreto della vita che non muore. E vuole trasmetterlo.

Qui è il miracolo, lo stupore: Dio in me, il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore e diventiamo una cosa sola, con la stessa vocazione: non andarcene da questo mondo senza essere diventati un pezzo di pane buono per qualcuno.

Nell’accogliere quel pane, sentiamo che Gesù vuole soffiare via la pula della nostra vita perché appaia il chicco, togliere la crusca perché appaia la farina. Dio non ci domanda offerte, doni, sacrifici, ma offre, dona, perde se stesso dentro le sue creature, come lievito dentro il pane, come il pane dentro il corpo. Noi lo assorbiamo, diventiamo una cosa sola con Lui. Come si è incarnato nel grembo di Maria, così continuamente desidera incarnarsi in noi, ci fa tutti gravidi di Vangelo, incinti di luce.

Ma la vita eterna ci interessa? Domanda il salmo responsoriale: “C’è qualcuno che desidera la vita?” C’è qualcuno che vuole lunghi giorni felici, per gustarla? (Salmo 3). Noi dovremmo essere cercatori di vita, affamati di vita, non rassegnati, non disertori. Mangiando Gesù, veniamo in possesso del segreto della vita che non muore e lo trasmettiamo agli altri.

Allora, il dono di Gesù, annunciato nella sinagoga di Cafarnao, non fu accolto dai discepoli, che si tirarono indietro. Il pane che Gesù donava andava oltre quello che le folle cercavano, desiderando solo di saziare la loro fame fisica. Inoltre questa presenza di Dio e la ricchezza del suo dono erano nascoste sotto apparenze comuni e quotidiane (pane e vino). Infine la paura di fronte ad un progetto di vita che domanda di vivere come Gesù: un’esistenza per la salvezza di tutti.

Oggi è la festa non tanto della contemplazione dell’Eucarestia, ma del “prendete e mangiate”.

Che dono è quello che nessuno accoglie?

Che regalo è se ti offro qualcosa e tu non lo gradisci e lo abbandoni in un angolo?