In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Gesù risorto continua a parlare alla sua comunità e le annuncia il “comandamento nuovo”, cioè ultimo e definitivo: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Lo sguardo si posa subito sulla Croce, sull’amore di Dio per il mondo, per tutta l’umanità. Dio è innanzitutto amore. Come la linfa nella vite, c’è un fluire, un fiume grande di amore che scorre dal cielo: dal Padre al Figlio, dal Figlio a noi. Il Vangelo mi infonde questa certezza: l’amore c’è, discende dall’alto, è un dono che viene da Dio. Ognuno di noi respira amore! Questa relazione d’amore domanda accoglienza da parte nostra, perché, se questo respiro cessa, non si vive.
“Rimanete”, perseverate nell’amore che è già in voi. Siamo immersi in un oceano d’amore, ma corriamo il rischio di non rendercene conto. A volte lo evitiamo o lo fuggiamo, dimenticando che solo l’amore rende piena di gioia la vita. Proprio la gioia ci assicura che stiamo camminando bene, sulla via giusta. Ma come facciamo a sapere se continuiamo a vivere nell’amore di Dio? Gesù ci insegna un criterio oggettivo per valutare il nostro rapporto di discepoli con Lui e con il Padre: l’amore concreto verso gli altri. Solo facendo il bene agli altri, solo spendendo la vita per gli altri, noi possiamo sapere di rimanere nell’amore di Gesù. Guardiamo allora come trascorriamo le nostre giornate. Quanto tempo dedichiamo al dialogo con Dio che è in noi e che desidera che diventiamo un tutt’uno con Lui. Siamo innamorati di questa presenza di Dio in noi? Ci lasciamo amare da Dio per diventare anche noi soggetti di amore?
“Come io vi ho amato”. Vivere come ha vissuto Gesù, come Lui ha obbedito al Padre, come Lui è stato fedele al comandamento del Padre e si è donato a noi sino alla fine, così anche noi siamo chiamati a donarci ai fratelli sino alla fine. Gesù è la misura del nostro vivere.
Gesù ha fatto quello che ha visto fare dal Padre, così noi, suoi discepoli, siamo chiamati a fare come ha fatto Gesù. Dio diventa la misura dell’amore. Non basta quindi solo amare – questo lo fanno molte persone e in molti modi – ma siamo chiamati ad amare come Gesù. Lui, il Figlio che ama il Padre amando i discepoli: Lui può dire di aver amato i discepoli come Dio sa amare. Noi, i discepoli, per amare Gesù, il Figlio, ci amiamo gli uni gli altri e tutti insieme, Gesù compreso, diffondiamo oltre la cerchia della comunità, l’amore, donandoci sino alla fine all’umanità intera. E’ un amore che si dilata per raggiungere tutti. Se invece ci chiudiamo, in noi e attorno a noi qualcosa muore, come quando nel corpo si chiude una vena. E la prima cosa che muore è la gioia. Come Gesù ha risposto all’amore del Padre amando noi, così noi rispondiamo all’amore di Gesù amando i fratelli.
L’amore di Gesù è gratuito, capace di donare tutto (la Croce). Così, il nostro amore. Nell’amore vissuto dai cristiani, il dare e il ricevere non sono sullo stesso piano. Se amiamo solo nella misura in cui siamo ricambiati, il nostro non è vero amore. E se siamo amati solo nella misura in cui diamo, non ci sentiamo veramente amati. Soltanto se comprendiamo questa gratuità dell’amore, comprendiamo Dio stesso. L’uomo è fatto per donarsi gratuitamente, totalmente: nel farsi gratuità, tocca il suo essere “immagine di Dio”. Dobbiamo tornare ad amare Dio da innamorati, non da servi.
“Vi ho chiamato amici”. Il discepolo è chiamato ad essere un amico che entra in relazione con Dio. L’amicizia, qualcosa che non si impone, non finge, non si mendica. Dice gioia e uguaglianza: due amici sono alla pari, non c’è uno superiore e uno inferiore, chi ordina e chi esegue. E’ l’incontro di due libertà che si liberano a vicenda. Dio, da signore e re, si fa amico, si mette alla pari dell’amato. Gesù, povero di tutto, non è stato povero di amici. Nel nostro rapporto di amicizia con Gesù, l’amico Gesù cosa ci ha rivelato dell’amore del Padre? Gesù per noi è veramente il nostro grande e vero amico? Lo saremo quanto più condivideremo la sua vita più intima, nella conoscenza dell’amore del Padre e del Figlio, che è lo Spirito Santo.
Perché portiate frutto: quali frutti dà un tralcio innestato su una pianta d’amore? Pace, guarigione, fervore di vita, liberazione, tenerezza, giustizia: questi frutti continueranno a germogliare sulla terra anche quando l’avremo lasciata. L’unica misura dell’amore è amare senza misura senza porre limiti. Dio ci ha scelto a portare frutto. Quale missione Dio ci ha affidato? In concreto, nella vita di ogni giorno, cosa siamo chiamati a fare? Non dimentichiamo che questo comandamento nuovo non ci viene dato come una legge, ma come un dono che ci fa partecipare alla vita stessa di Dio.