Vangelo
Commento
La parabola inizia con un richiamo a Is 5,1b-2, dove la vigna del Signore è la casa d’Israele e il padrone è lo stesso Signore. Il racconto ci presenta l’intera storia d’Israele da cui traspare la continua fedeltà di Dio e la continua infedeltà del popolo: “che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna, che io non abbia fatto?”. È l’amore di un Dio appassionato, che fa per noi ciò che nessuno farebbe mai; un Dio contadino che dedica alla vigna più cuore e più cure che ad ogni altro campo. Dio ha per noi una passione che nessuna delusione può spegnere, che ricomincia dopo ogni nostro rifiuto ad assediare i nostri cuori, con nuovi profeti, con nuovi servitori, con il Figlio, e da ultimo con le pietre scartate. Sostiamo dentro questa esperienza: sentiamoci vigna amata, lasciamoci amare da Dio. Noi siamo come delle piccole viti, ma a noi, proprio a noi Dio non vuole rinunciare.
La comunità di Matteo non può non sentirsi l’erede della vigna del Signore e non può non esaminarsi profondamente se davvero dà i frutti sperati, anche perché il Vendemmiatore viene ogni giorno, viene nelle persone che cercano pane, conforto, vangelo, giustizia, amore.
Guardiamo innanzitutto Gesù:
- È cosciente di chiudere definitivamente la serie degli inviati di Dio al suo popolo, di essere il Figlio inviato dal Padre.
- Gesù è cosciente che non sarà accolto: sarà rifiutato, sarà gettato fuori della vigna (Gerusalemme), sarà scomunicato e ucciso. Dio aveva mandato il Figlio, pensando ad una accoglienza, invece, contro la volontà di Dio, sarà ucciso.
- Gesù è cosciente che non rimarrà nella morte. Dio lo ha mandato per la vita sua e degli altri. Anche se gli uomini lo uccideranno, l’agire di Dio in Lui non finirà nella morte, lo farà risorgere e costruirà su di Lui un popolo nuovo. Dio ha mandato il Figlio, perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui. La sua vita continua ora nella nuova comunità.
Guardiamo ora i contadini che non vogliono riconoscere il padrone come tale. Questo è il loro peccato. Si comportano come se la vigna appartenesse a loro. E quando uccidono il figlio lo dicono chiaro: vogliono farsi eredi e padroni. Ma rifiutando la signoria di Dio, rifiutano la pietra angolare, l’unica che tiene il mondo in piedi. Senza il riconoscimento di Dio, il mondo non sta in piedi, la convivenza si frantuma. La parabola è trasparente: la vigna è Israele, i vignaioli avidi sono le autorità religiose, che uccideranno Gesù come bestemmiatore. Questa ubriacatura per il potere e il denaro è l’origine di tutte le vendemmie di sangue della terra.
Cosa farà il padrone? La risposta delle autorità è secondo logica giudiziaria: una vendetta esemplare, nuovi vignaioli, nuovi tributi. La loro idea di giustizia si fonda sull’eliminare chi sbaglia. Gesù non è d’accordo. Dio non spreca la sua eternità in vendette. Lui non parla di far morire, mai; il suo scopo è far fruttificare la vigna: sarà data a un popolo che produca frutti. La storia perenne dell’amore e del tradimento tra uomo e Dio non si conclude con un fallimento, ma con una vigna nuova. Il sogno di Dio non è il tributo finalmente pagato, non è la pena scontata, i conti in pareggio, ma una vigna che non maturi grappoli rossi di sangue e amari di lacrime. Dio sogna una storia che non sia guerra di possessi, battaglia di potere, ma sia vendemmia di generosità e di pace, grappoli di giustizia e onestà.
I miei dubbi, i miei peccati, il mio campo sterile non bastano a interrompere la storia di Dio. Il suo progetto, che è un vino di festa per il mondo, è più forte dei miei tradimenti, e avanza nonostante tutte le forze contrarie: la vigna fiorirà. La visione di Gesù è positiva: la storia perenne dell’amore di Dio e del mio tradimento non si risolve in una sconfitta, il mio peccato non blocca il piano di Dio. L’esito della storia è buono, la vigna generosa di frutti. Questa è la novità del Vangelo: Il Regno è una casa nuova la cui pietra angolare è Cristo, una vigna nuova dove la vite vera è Cristo, dove il bene possibile e sperato vale più della sconfitta patita. Patto d’amore mirabile e terribile, perché il frutto che Dio attende è una storia che non generi più oppressi, sangue, ingiustizia e volti umiliati.