Nella storia di Israele, il passato di liberazione di Dio e il futuro di un’appartenenza speciale di popolo di Dio si fondono nell’obbedienza concreta del popolo ai Comandamenti. La salvezza non è mai ancora definitivamente realizzata, ma solo attesa.
Così la nostra speranza nella certezza della salvezza, è messa alla prova mentre si vive la concretezza delle tribolazioni, l’incompiutezza della nostra vita con la mancanza di libertà, le sopraffazioni, le malattie, la morte. Qualcuno si rifugia nella possibilità di un futuro storico sociale migliore. Ma l’ambiguità della storia mette in crisi questa speranza.
La speranza cristiana invece va oltre la morte, è una speranza di vita, del compimento di questa vita, non di un’altra vita verso la quale fuggire. Questa speranza oltre la morte non deve dunque produrre disprezzo nei confronti dei beni presenti, ma ci chiede apprezzamento, gratitudine e soprattutto dedizione alla promozione dei beni presenti, pur nella lucida e sobria consapevolezza del limite e della morte.
La costanza e la pazienza nella prova purificano la nostra stessa fede. La speranza in Dio ci consente di accettare questo rischio (e spesso più del rischio): perdere noi stessi, nel dono continuo dell’amore, certi che, pur apparendo la nostra vita una perdita, noi non solo continuiamo a camminare, ma giungeremo alla patria sconosciuta della nostra esistenza. Questa è l’ambiguità della storia che siamo chiamati a vivere e che continuamente ci chiede di purificare la nostra speranza.