LA MANO TESA DI DIO QUANDO CREDIAMO DI AFFONDARE – Mt 14,22-33

Parrocchia di Fontane
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LA MANO TESA DI DIO QUANDO CREDIAMO DI AFFONDARE – Mt 14,22-33
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Gesù saluta i cinquemila appena sfamati, uno ad uno: fa fatica a lasciare la gente, non vuole andarsene finché non li ha salutati tutti, così come noi facciamo fatica a lasciare la casa di amici cari dopo una cena in cui abbiamo condiviso il pane e l’affetto. Era stato un giorno speciale, di fervore e solidarietà, un moltiplicarsi di mani, la fame dei poveri saziata, era il suo sogno realizzato. Gesù congeda la folla: è una separazione che non è rottura della comunione costruita mediante la condivisione del pane. È semplicemente un momentaneo e necessario distacco.

Gesù sente il bisogno di rimanere solo, di vivere continui contatti con il Padre. Sta vivendo un momento difficile che fa presagire la rottura con il suo popolo. Per continuare nella missione ha bisogno di pregare, di rivedere, in dialogo con il Padre, le sue scelte di fondo per vivere sempre in conformità alla volontà del Padre. 

Nel ritmo incalzante della sua giornata, Gesù ha sempre trovato il tempo per la preghiera, o al mattino presto o alla sera tardi. Nella preghiera si rivolge sempre a Dio, invocandolo col nome di Padre. La sua preghiera è del Figlio obbediente, del Servo del Signore. Consapevole di essere uomo, si confrontava col Padre e con la sua Parola per ritrovare costantemente nitidezza e il coraggio della propria via.

Intanto i discepoli stanno vivendo una notte assai dura. Nell’essere costretti ad imbarcarsi, traspare la loro riottosità a lasciare la folla e soprattutto Gesù. Nel momento del pericolo si sentono abbandonati, lasciati soli a lottare contro le onde per una lunga notte. I discepoli stanno agendo come se Gesù fosse davvero assente. Pur in mezzo alle onde grosse e il vento forte non sono turbati: da buoni pescatori sono esperti del mare. La barca, simbolo della comunità e della vita, avanza per l’impegno dei rematori che non si arrendono, e si sostengono l’un l’altro. Dio non agisce al nostro posto, non devia le tempeste, ma ci sostiene dentro le burrasche della vita. Non ci evita i problemi, ci dà forza dentro essi.

Appena vedono Gesù, i discepoli pensano che sia il suo fantasma, lo prendono come uno che viene dal mondo dei morti, non da un contatto con Dio. Lo spavento è enorme, urlano persino dalla paura.

Gesù li invita a non temere, ad aver fiducia, c’è Lui: “Io sono” è il nome di Dio pronunciato sul Sinai. La parola di Gesù li calma.

La sorpresa è quanto avviene tra Gesù e Pietro. Pietro sembra un bambino che chiede alla mamma di insegnargli a camminare. Il bambino cammina sempre guardando verso qualcuno. Così Pietro, verso Gesù. Ma quando fa caso al vento, entra la paura e affonda. Nasce allora la preghiera: “Signore salvami”. La mano di Gesù lo afferra e gli dice: “uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. È l’immagine della nostra vita di discepoli chiamati ad imparare a vivere nella fede e nella preghiera gli urti della storia, in un mondo tempestoso. In un mondo agitato, dobbiamo imparare a camminare nella storia, come bimbi, verso un incontro con il nostro Signore che è sempre “colui che viene”: viene per essere con noi nella barca.

“Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sull’acqua”. Pietro domanda due cose: una giusta e una sbagliata. Chiede di andare verso il Signore, richiesta bella, perfetta: andare verso Dio. Ma poi sbaglia chiedendo di andarci camminando sulle acque. A che cosa serve questa esibizione di potenza fine a se stessa, clamorosa ma sterile? Questo intervento divino non ha come scopo il bene delle persone. I miracoli non servono alla fede. Dio infatti non si impone mai, si propone. I miracoli si impongono e non convertono. La strada per l’incontro è il cammino verso il Calvario, la follia della croce, il cammino di colui che sa farsi prossimo.

“Uomo di poca fede”, perché hai dubitato?”. Pietro è uomo di poca fede non perché dubita del miracolo, ma proprio in quanto lo cerca. Pietro si rivela uomo di poca fede non quando è travolto dalla paura delle onde, del vento e della notte, ma prima, quando chiede questo genere di segni per il suo cammino di fede. Quando Pietro guarda al Signore e alla sua parola: “Vieni”, può camminare sul mare. Quando guarda a se stesso, alle difficoltà, alle onde, si blocca nel dubbio.

Così noi, se guardiamo al Signore e alla sua Parola, avanziamo anche nella tempesta; se guardiamo a noi stessi, ai nostri limiti, alle difficoltà, iniziamo la discesa nel buio. Rimaniamo paralizzati. Tuttavia nella paura nasce un grido: Signore salvami!

Ringraziamo Pietro per questo suo intrecciare fede e dubbio: Pietro, dentro il miracolo, dubita: Signore affondo; dentro il dubitare, crede: Signore, salvami! Dubbio, fede, grido: un oscillare tra fede grande che sfida la tempesta, e fede piccola. Gesù ci raggiunge, non puntando il dito sui nostri dubbi, ma sostenendo la mano per afferrarci. Il grido di paura diventa abbraccio tra noi e  Dio. Ora sappiamo che qualsiasi nostro affondamento può essere redento da una invocazione e gridata nella notte, gridata nella tempesta come Pietro, dalla croce come il ladro morente.