LA GIOIA DI DIO SEMINATORE CHE AVVIA LA PRIMAVERA DEL MONDO (Mt 13,3b-23)

Discorso parabolico (Mt 13)

È il terzo discorso di Gesù. Il termine “parabolico” indica il genere letterario: servendosi di immagini e similitudini, Gesù ci parla del Regno dei cieli o di Dio. Ad esso ci si può avvicinare solo attraverso esempi concreti che fanno riflettere. Gesù ha deciso di presentare il regnare di Dio mediante immagini concrete, capaci di rimanere impresse nei suoi ascoltatori. Gesù invita ad aguzzare lo sguardo e ad allargare il cuore, per cogliere negli eventi quotidiani i segni della presenza di Dio, del suo agire.

Una introduzione solenne ambienta la parabola sulla riva del mare di Galilea, luogo che rievoca la chiamata dei primi discepoli. Il mare sembra riflettere l’orizzontalità delle parole di Gesù e l’universalità dell’uditorio. Il mare è quell’elemento della creazione che è già stato educato all’ascolto delle parole di Gesù e ha assistito alla vittoria del Regno sui demoni, e ora sui discepoli e le folle che devono ascoltare. Gesù più che insegnare, racconta delle parabole, più che insegnare, annuncia. Gesù, mentre racconta sta seduto, è cioè in una posizione dialogante, che lascia le persone libere di avvicinarsi o di andarsene. La parabola non impone niente con forza, ma propone in modo velato la verità, mette l’ascoltatore di fronte alle proprie responsabilità e ne rispetta la libertà di scelta. Gesù parla in parabole perché queste sembrano essere in grado di superare gli ostacoli frapposti dall’uditorio e le difese di chi ascolta. Dio non cessa di parlare, nonostante l’incredulità degli ascoltatori.


La parabola ci rivela Gesù, amante della vita, dei campi di grano, delle distese di spighe e di papaveri, di fiordalisi, di margherite, di viti. Gesù osserva un seminatore e nel suo gesto intuisce qualcosa di Dio. È un seminatore che percorre un campo arato a passi lenti, compiendo un gesto largo della mano. Sembra che il suo gesto sia eccessivo, esagerato, in quanto lancia il seme non solo nel buon terreno preparato per la semina, ma anche sulla strada, sui rovi, sull’asfalto.

Gesù parla di un seme scelto, a cui è affidato un compito ben preciso: produrre altri semi. Tenendo conto dei piccoli appezzamenti di terreno presenti in Palestina, comprendiamo come qualche seme sarebbe andato perduto. Erano gli incerti del mestiere del seminatore. Gesù sta parlando come i profeti: la strada, le rocce, le spine sono esemplificazioni di alcuni ostacoli che il il seme può incontrare per raggiungere lo scopo per cui è stato seminato. Nonostante i vari problemi, il raccolto ci sarà e il successo supererà l’insuccesso. Dio parla di un frutto uguale al cento per uno, cosa inesistente, irrealistica, nessun chicco di frumento si moltiplica per cento. Un’iperbole che dice la speranza altissima di Dio in noi.

Non è dunque un contadino maldestro nel lavoro; ma un contadino prodigo inguaribile, imprudente e fiducioso, che vede vita e futuro ovunque: anche la sterpaglia si può trasformare in giardino. La parabola racconta una fiducia: verrà il frutto, il piccolo seme avrà il sopravvento. Contro tutti  rovi e le spine, oltre i sassi e i passanti, c’è sempre una terra che accoglie  e fiorisce. E anche se la risposta per tante volte è negativa, alla fine spunterà un germoglio. Il Seminatore, uno dei nomi più belli di Dio. La sua gioia non è raccogliere, ma seminare. Per quanto noi siamo aridi, sterili, spenti, Dio continua a seminare in noi, senza sosta. Contro tutti i rovi e le spine, contro tutti i sassi e predatori, Lui vede in ciascuno, una terra capace di accogliere e di fiorire. Gesù ci presenta il volto di  un Dio contadino che diffonde a piene mani i suoi germi di vita, fecondatore instancabile delle nostre vite, ostinato nella fiducia, un Dio seminatore. 

Il seminatore getta il seme, ma è il terreno che permette alla pianticella di crescere. Noi siamo chiamati a portare a maturazione i germi divini. Il primo errore lo compiamo quando siamo strada, persone che non si fermano mai. La Parola di Dio chiede un minuto di sosta: chi corre sempre, è derubato dalla fame di infinito che costituisce la nostra dignità. Il secondo errore, terreno sassoso, è il cuore poco profondo, che non medita, che si accontenta di sensazioni e non approfondisce. Il terzo errore, le spine, è l’ansia delle ricchezze, del benessere, del quotidiano. Spine che soffocano la fiducia e ci fanno credere che in noi non ci sia spazio per far germogliare un seme divino. Il centro della parabola non sono però gli errori dell’uomo, il protagonista è un Dio generoso, che non priva nessuno dei suoi doni. Per quanto io sia arido, spento, sterile, Dio continua a seminare in me senza sosta, vede una terra capace di accogliere e fiorire: vede vita e futuro ovunque.

Siamo invitati a farci terra buona, terra madre, accogliente per il piccolo germoglio. Come una madre, che sa quanto tenace e desideroso sia il seme che porta in grembo, ma anche quanto fragile, vulnerabile e bisognoso di cure. Essere madri di ogni parola d’amore nel mondo. Accoglierla dentro di sé con tenerezza, custodirla, difenderla con energia, allevarla con sapienza.

Ognuno di noi è un seminatore che cammina nel mondo gettando semi, spesso senza accorgercene.  Cosa vorremmo che producessero: tristezza o germogli di sorrisi? Paura, scoraggiamento, o forza di vivere? È grande questo Dio seminatore: ci invita a credere nella bontà e nella forza della Parola, più che nei risultati visibili, credere che Dio trasforma la terra e le sue persone anche quando non ne vedo i frutti. Ci chiama ad amare la sua promessa, la Parola, più ancora della realizzazione della promessa, i suoi esiti.

La parabola da una parte è fortemente responsabilizzante: attraverso di noi, Dio vuole moltiplicare frutti di vita, tuttavia in noi si può interrompere il corso delle sue meraviglie, a volte anche per nostra distrazione. Dall’altra ci ricorda che questo seme viene sempre, dovunque e comunque gettato: Dio non si stanca di seminare anche sui sassi, dove a noi sembra sprecata la semina, perché Dio ha fiducia che anche un solo seme potrà dar frutto.  

Per i discepoli, per tutti, sembra incombere la possibilità di non capire, di non interpretare correttamente le parole di Gesù. Vediamo Gesù Maestro paziente con i suoi discepoli: non li rimprovera, li accoglie anche nella loro poca fede e durezza di cuore. Così, con noi.