Dopo la morte di Giovanni il Battista, Gesù si ritira, lontano dal territorio di Erode Antipa, in un luogo deserto. La fine del Battista diventa per Gesù, annuncio e presagio della sua morte. Come al tempo di Giovanni la “Parola” convocava la gente nel deserto, così ora è Gesù stesso che, recandosi nel deserto, convoca là, ai limiti di Israele, le folle. Egli se ne va da solo con i suoi discepoli, ma al suo giungere: “vide molta folla e ne sentì compassione”. Dalla compassione verso queste folle “stanche, sfiduciate, come pecore senza pastore”, la “Parola” (Gesù) si fa evento, guarigione: “guarì i loro ammalati”. Gesù è il buon pastore, che non si occupa di sé, ma di chi ha bisogno, raduna i dispersi, divenendo centro del nuovo popolo di Dio che si raccoglie nel deserto per iniziare un cammino nuovo, una vita più umana.
Il ritirarsi e la compassione (13-14). Una sera, in riva al lago, cinquemila uomini con donne e bambini: l’amore per Gesù li ha condotti nel deserto. Scesa ormai la notte, non se ne vanno e restano lì con Gesù, prese da qualcosa che Lui solo ha e nessun altro sa dare. I discepoli, uomini pratici, dicono: congedali perché vadano a comprarsi da mangiare. Il maestro ribatte: date loro voi stessi da mangiare. Due atteggiamenti opposti, riassunti in due verbi: comprare o dare. Comprare, dicono gli apostoli. Ed è la nostra mentalità: se vuoi qualcosa, lo devi pagare. È la logica dove trionfa l’eterna illusione dell’equilibrio del dare e dell’avere. In questo sistema chiuso, Gesù introduce il suo verbo: date voi stessi da mangiare. Non già: vendete, scambiate, prestate; ma semplicemente, radicalmente: date. E sul principio della necessità comincia a spuntare, a sovrapporsi un altro principio: la gratuità, l’amore senza calcoli, dare senza aspettarsi niente. Solo la gioia, forse.
Il pane per Israele (15-21). L’idea guida del racconto è la condivisione. Il racconto ha il tono di una celebrazione di cui sono protagonisti Gesù e i discepoli insieme. I discepoli vengono educati al senso del “dono”. Il limite, che per i discepoli sembra invalicabile, da Gesù è affidato al Padre. Pensano che ognuno debba arrangiarsi da solo. Se non le congeda Gesù, le folle non se ne andranno. Ma Gesù non le manda via, non ha mandato mai via nessuno. Intenerisce questo Gesù che non vuole allontanare da sé nessuno, che li vuole tutti intorno a sé anche a mangiare. E’ un Dio dal volto materno, che nutre e alimenta ogni vita. Quante volte lo si vede nel vangelo, intento a condividere il pasto con gli altri, e contento di questo. Così tanto amava mangiare con gli altri, che ha fatto di questo mangiare insieme, il simbolo di tutta la sua vita: “quando me ne andrò e non potrò più riunirvi e darvi il pane, spezzarlo e condividerlo insieme, voi potrete unirvi a me e mangiare me”.
Gesù chiede innanzitutto che gli sia portato il poco che hanno. I discepoli sono subito disponibili al volere di Gesù, pronti a dare quel poco. Lo offrono a Gesù, fidandosi, senza calcolare, senza attendere qualcosa per sé. È poco, ma è tutto, è la loro cena. Ora non c’è più bisogno che ognuno si aggiusti da sé: questo per Gesù è disumano, mentre quando c’è generosità e gratuità nel dono, allora c’è vera umanità, fratellanza, comunione.
Gesù comanda che si mettano a mensa (farli sedere) sdraiarsi sull’erba. A questo punto il racconto assume un colore eucaristico. Gesù presiede la mensa. Gesù prega e ringrazia, moltiplica i pani, li spezza e li consegna ai discepoli perché li distribuiscano. Lo stesso verbo “dare” vale per Gesù e i discepoli. È un dare insieme, come avviene in ogni celebrazione eucaristica, è un passarsi a vicenda il dono. È un’immagine della Chiesa: è Cristo che dona la Parola e la vita, ma tutto passa fra le mani degli uomini che lo rappresentano. Gesù “pronunziò la benedizione”: è questo l’atteggiamento più autentico dell’uomo di fronte a Dio, alle cose e ai fratelli. Benedire significa riconoscere che le cose sono un dono di Dio e, quindi, ringraziare: doni di Dio da gustare nella gioia. Ma anche da condividere, perché Dio li ha creati per tutti i suoi figli, non solo per alcuni. Quello che si compie si fa “dono gratuito”, un dono destinato a tutti che vengono coinvolti nella fratellanza, nella comunione. È un dono che costruisce comunione, che fa comunità. Dare non è perdita, ma guadagno. Quei pochi pani e pesci bastano per tutti, perché condivisi. Dio ferma la fame del mondo attraverso le nostre mani quando imparano a donare. La fame invece comincia quando io tengo il mio pane per me. Sfamare la terra è un miracolo possibile solo quando si vive la condivisione Chi condivide, convoca Dio, lo provoca, mette il pane nelle sue mani, e allora basterà per tutti e se ne avanzerà.
L’Eucaristia celebra questa universale condivisione, il cui atto più alto e significativo fu vissuto da Cristo. Egli è qui e ora, il segreto e il contenuto, il ricordo e il futuro. Gesù ci invita alla sua mensa, per celebrare fraternamente il dono di Dio nell’ampiezza universale del dono. Tutti mangiano e ne rimane per tutti e per sempre. Gesù, il Dio con noi, supera così il limite dello spazio e del tempo, e rende possibile la sua presenza ogni volta che i cristiani spezzano il pane e vengono sanati dai loro mali.