IL CAMMINO VERSO UN CUORE UNIFICATO – Mt 21,28-32

Parrocchia di Fontane
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IL CAMMINO VERSO UN CUORE UNIFICATO – Mt 21,28-32
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Gesù rifiutato – chiesa rifiutata. Siamo allo scontro finale tra Gesù e i capi di Israele. Gesù ha terminato il suo viaggio verso Gerusalemme, la città santa in cui è entrato acclamato quale Messia, figlio di David, dai discepoli che lo accompagnavano e dalle folle; ha cacciato dal tempio quanti impedivano che fosse una casa di preghiera e ha simbolicamente seccato l’albero di fico che non dava frutti. La città è sconvolta e s’interroga su chi è Gesù: questo profeta proveniente da Nazaret. Gesù aveva compiuto un gesto profetico di purificazione del tempio e, annunciando la sua distruzione, aveva annunciato l’inizio di un tempio nuovo, senza bisogno di mercanti. Dopo aver passato la notte a Betania, Gesù ritorna al tempio. Queste sue azioni avevano causato soprattutto una profonda indignazione da parte delle autorità religiose legittime, ma perverse, “sacerdoti e anziani”, che intervengono pubblicamente chiedendo a Gesù con quale autorità compia questi gesti provocatori. Ma Gesù non risponde, anzi pone loro una domanda riguardo alla missione di Giovanni il Battista: missione voluta da Dio o missione che Giovanni aveva inventato per sé? Questo interrogativo non riceve risposta.

Allora Gesù si rivolge ai rappresentanti del popolo che coinvolgono con le loro decisioni l’intero Israele. Gesù li oppone ai pubblici peccatori (pubblicani) e alle prostitute. Questi sono coloro che non osservano la legge, quelli che secondo la parabola dicono di “no”. Gli altri “voi” sono gli osservanti che hanno detto “sì” alla legge: si ritenevano l’Israele fedele.

Con la parabola Gesù cerca di causare un ravvedimento in quei suoi avversari che dopo poco tempo saranno i suoi accusatori e i suoi condannatori. Però, anziché interrogarsi e convertirsi, sacerdoti e anziani si indignano ancora di più, comprendendo che la parabola parla proprio di loro, induriranno ancor più il loro cuore, accrescendo la loro opposizione e il loro odio verso Gesù.

Sia Giovanni Battista che Gesù avevano invitato tutti a riconoscersi peccatori e ad aprirsi all’irrompere del Regno di Dio nella storia. Al centro della parabola, c’è la sorprendente affermazione: “Vi garantisco che i pubblicani e le prostitute entreranno prima di voi nel regno di Dio”. Qui le parole di Gesù si fanno dirette: coinvolgono i suoi interlocutori e noi stessi. È chiaro che Gesù non intende porre un principio, come se volesse affermare che tutti i peccatori, per il fatto stesso di esserlo, entreranno nel Regno e che, al contrario, nessun giusto può entrare. Più semplicemente, Gesù constata una situazione di fatto, che però continua a ripetersi anche oggi. Gesù ha incontrato uomini giusti e praticanti e lo hanno rifiutato, e ha incontrato uomini della strada e lo hanno accolto.

“Un uomo aveva due figli”. E’ come dire : un uomo aveva due cuori. In quei due figli è rappresentato ciascuno di noi, con in sé un cuore diviso, un cuore che dice “sì” e uno che dice “no”, che dice e poi si contraddice: infatti “non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio “ (Rm 7,15.19). Il primo figlio dice “no”, è un ribelle; il secondo che dice “sì” e non fa, è un servile. Non si illude Gesù. Conosce bene come siamo fatti: non esiste un terzo figlio ideale, che vive la perfetta coerenza tra il dire e il fare. I due fratelli, pur così diversi, hanno qualcosa in comune: la stessa idea del padre come di un estraneo  che impartisce ordini; la stessa idea della vigna come di una cosa che non li riguarda.

Qualcosa però viene a disarmare il rifiuto del figlio che ha detto no: “si pentì”. Pentirsi significa “cambiare mentalità, cambiare modo di vedere”, di vedere il padre e la vigna. Il padre non è più un padrone da obbedire o da ingannare, ma il capo famiglia che mi chiama in una vigna che è anche mia, per una vendemmia abbondante, per un vino di festa per tutta la casa. E la fatica diventa piena di speranza.

Chi dei due figli ha fatto la volontà del Padre? Volontà del Padre non è mettere alla prova i due figli, misurare la loro obbedienza. La sua volontà è la fioritura piena della vigna che è la vita nel mondo; è una casa abitata da figli liberi e non da servi sottomessi.

La parabola si conclude con una dura frase, che si rivolge a noi che a parole diciamo “sì”, ci diciamo credenti, ma siamo sterili di opere buone. Cristiani di facciata con poca sostanza. La conversione per tutti noi è più impegnativa che per coloro che consideriamo ribelli. Quelli che pubblicamente appaiono peccatori e sono da tutti ritenuti tali, sono preda della vergogna e sentono il desiderio di cambiare vita, sono aperti all’invito a convertirsi. Chi, pur peccando di nascosto, ma stimato dalla gente per ciò che appare all’esterno, spesso credendosi migliore degli altri, un esempio, anzi giudicando gli altri con rigidità, trova difficoltà ad avere un vero desiderio di cambiamento, pensa di non aver bisogno di alcuna conversione. Contemporaneamente è però una frase consolante, perché in Dio non c’è ombra di condanna, solo la promessa di una vita rinnovata per tutti. Dio ha fiducia sempre, in ogni uomo; ha fiducia nelle prostitute e ha fiducia in noi, nonostante i nostri errori e i nostri ritardi. Crede in noi, sempre! Allora possiamo cominciare la nostra conversione: Dio non è un dovere: è amore e libertà. È un sogno di grappoli saporosi per il futuro del mondo.