GESÙ, IL PASTORE CHE CONDUCE VERSO LA VITA SENZA CONFINI (Gv 10,1-10)

Commento al Vangelo IV domenica di Pasqua

1«In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. 4E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro. 7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

Peccato è pensare di non aver bisogno della luce (Spirito Santo) per credere. Gesù desidera aprire i nostri occhi perché arriviamo alla fede in Lui, Figlio di Dio e lo contempliamo nel suo amore con l’immagine del buon pastore. Credere in Gesù è credere che Dio Padre, nel suo amore, ci ha donato come Messia il Figlio suo perché, credendo in Lui e accogliendolo come Salvatore e Signore, potessimo con Lui e in Lui avere la vita eterna.

Gesù si trova A Gerusalemme per celebrare la festa della Dedicazione del tempio, dopo la guarigione in giorno di sabato di un cieco nato, c’è uno scontro tra Gesù e alcuni farisei. Grazie alla fede, donata da Gesù che lo ha cercato, il cieco giunge a vedere, mentre le guide religiose appaiono cieche, incapaci di riconoscere in Lui, la missione di Dio. Anche noi siamo chiamati a fare la grande scelta: rifiutare o accogliere Gesù, ben sapendo che l’accoglienza ci coinvolge nel suo destino di morte e resurrezione.

Gesù allora racconta questa parabola del pastore, ma non capirono quello che diceva loro.

Sulle montagne attorno a Gerusalemme non mancavano certamente i recinti per le pecore: avevano muriccioli tutto intorno e una porta stretta, per contare le pecore quando entravano o uscivano. I pastori erano soliti affidare, di notte, le loro pecore ad un custode. Al mattino si presentavano al custode che apriva loro la porta del recinto ed essi chiamavano le loro pecore. Le pecore conoscevano la voce del loro astore e perciò non seguivano gli estranei. Mentre uscivano, i pastore le contava per essere sicuro che ci fossero tutte. Di notte c’era la possibilità che, scavalcando il recinto, ladri e banditi facessero razzia di pecore.

Recinto (aulè) richiama il luogo dove si trovava la Tenda del convegno durante l’Esodo, poi i cortili del tempio. Il portinaio (thuroròs), il custode delle porte del tempio. Gesù quindi fa riferimento alle istituzioni di Israele. Dio è conosciuto come il “custode e pastore d’Israele”. (“Il Signore è il mio pastore” …salmo 23). Le istituzioni di Israele consideravano la Legge come un sistema chiuso in sé stesso: si entra e basta! Le pecore sono allora l’intero popolo di Israele, dominato, tiranneggiato dai suoi dirigenti mediante interpretazioni normative che erano un peso gravoso, che sessi non osavano neppure muovere con un dito. Ma ecco il pastore vede una porta … Egli si presenta alla porta e chiama le sue pecore per nome e le fa uscire per andare altrove. Chiama le sue, che, come i discepoli, rispondono seguendolo. ( Gli uditori non comprendono e Gesù allora spiega …)

Gesù è il Pastore e il Padre il guardiano che gli apre. Il Padre gli ha dato le pecore, le ha messe nelle sue mani. Il Padre riconosce Gesù come pastore unico del gregge. La porta non è quella dell’ovile, ma del tempio: nessuno può entrare nella casa di Dio e incontrarsi con Dio se non per mezzo di Gesù. Gesù è il vero e unico luogo d’incontro con Dio. Gesù è l’unico mediatore di salvezza, l’unico che può liberarci (come con Mosè dalla schiavitù alla libertà), per mezzo suo si può fare esperienza di libertà, si può accedere alla vita.

Il buon pastore  chiama le sue pecore, ciascuna per nome. Io sono un chiamato, con il mio nome unico pronunciato da Gesù come nessun altro sa fare, con il mio nome sicuro sulla sua bocca, tutta la mia persona sicura con lui. E le conduce fuori. Non le porta da un recinto all’altro, dalle istituzioni del vecchio Israele a nuovo schemi migliori. Il nostro non è un Dio dei recinti chiusi, ma degli spazi aperti, di liberi pascoli. Non un pastore di retroguardia, ma una guida che apre cammini e inventa strade, è davanti a noi e non alle spalle. Non un pastore che rimprovera e ammonisce per farsi seguire, ma uno che precede e seduce con il suo andare, che affascina con il suo esempio: pastore di futuro, pastore di libertà e di fiducia.

   A chi va con Lui, che è la porta, il passaggio, Gesù promette di far fiorire la vita in pienezza: l’uomo diventa Figlio di Dio, e vive di vita divina, dona eternità a tutto ciò che di più bello portiamo nel cuore. Ciò è possibile perché Lui, buon pastore, dà la vita per le pecore, non solo quella smarrita, ma anche per quelle che restano nel recinto, cioè fa del suo vivere, del suo esistere sino alla morte, un dono che è vita per tutti. Cristo è questa soglia spalancata che mette nella terra del vero amore. Lui è venuto perché abbiamo la vita piena, abbondante, gioiosa. Vita che profuma di coraggio e di libertà. Cristo non è venuto a pretendere, ma ad offrire, non chiede niente, dona tutto. Questa è anche la nostra vocazione: essere datori di vita.

   Da questa conoscenza reciproca tra pastore e pecore, nasce il vero rapporto di amore. Le pecore giungono a riconoscere il pastore come colui che ha cura di loro perché le ama. Ascoltando il pastore, si vive un’esperienza meravigliosa: ci si sente amati da Dio, compresi, perdonati da un amore che è sempre misericordia.

Tutt’altro è il modo di vivere del “pastore salariato”, che svolge il suo compito solo per il salario. Era la maniera di agire dei maestri della legge che concepivano la loro relazione con il popolo in termini di profitto, di potere, di dominio, non di servizio; di privilegio, non di donazione. Chiediamo che a partire dai pastori, ma anche tutto il gregge (la chiesa) viva questo amore gratuito, in modo da non sfigurare il volto di Cristo buon pastore.

  Soffermiamoci nella contemplazione di Cristo buon pastore, nella pienezza di vita che siamo chiamati a vivere, e nel nostro rapporto d’amore con Cristo.