AL BANCHETTO DEL RE NON PERSONE PERFETTE, MA IN CAMMINO – Mt 22,1-14

Parrocchia di Fontane
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AL BANCHETTO DEL RE NON PERSONE PERFETTE, MA IN CAMMINO – Mt 22,1-14
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Vangelo

Commento

Ecco la terza parabola pronunciata da Gesù nel tempio di Gerusalemme e indirizzata ai capi dei sacerdoti e alle guide religiose che avevano contestato la sua autorità nella predicazione e nell’operare il bene. La parabola è strettamente legata alla precedente, quella dei vignaioli malvagi:   si parla del rifiuto opposto al Signore della vigna o al Re che offre il banchetto. Quando Matteo scrive, Gerusalemme è stata distrutta dai Romani (70 d.C.). Qualcuno interpretava la catastrofe come una punizione inviata da Dio. La parabola però è indirizzata alla comunità cristiana, a tutti, chiamati personalmente al banchetto del Regno.

Gesù l’avrebbe raccontata per spiegare come mai la sua predicazione veniva rifiutata dai praticanti e veniva invece accolta dai pubblicani e peccatori. Il popolo di Dio rifiuta il Messia e il suo Vangelo, mentre gli altri, i lontani, lo cercano e lo accolgono.

C’è, nella città, una grande festa, si sposa il figlio del re, l’erede al trono, eppure nessuno sembra interessato.

  1. La sala della festa rimane vuota e triste, impietosa fotografia del fallimento del re: nessuno vuole il suo regalo, nessuno partecipa alla sua gioia. Nessuno sembra interessato. Sono presi dai loro affari, dalla liturgia del lavoro e del guadagno, dalle cose importanti da fare; non hanno tempo, per cose di poco conto: le persone, gli incontro, la festa. Hanno troppo da fare per vivere davvero: non sono felici, hanno perso la gioa del cuore dietro alle cose e agli affari.
  2. Le strade. Dio non può stare solo, vive per creare gioia condivisa, dice ai servi: “Andate per le strade, gli incroci, ai semafori, lungo le siepi...”. Volontà di Dio è che nessuno sia escluso. E’ bello questo Dio, che nel momento in cui è rifiutato, chiama tutti. Dai molti invitati, passa a tutti invitati: dalle persone importanti, agli ultimi della fila: fateli entrare tutti: cattivi e buoni. Addirittura prima i cattivi e poi i buoni, senza mezze misure, senza bilancino, senza quote da distribuire …Volontà di Dio è di raggiungere tutti, nessuno escluso. Noi non siamo chiamati, perché siamo buoni e ce lo meritiamo, ma perché diventiamo buoni, lasciandoci incantare da una proposta di vita bella, buona e felice da parte di Dio. Tutti incamminati, anche con il fiatone, anche claudicanti, ma in cammino. E’ così il paradiso: pieno di peccatori, di gente come noi. Lasciamoci incantare da questa proposta di vita bella, buona felice da parte di Dio. La strada diventa così per noi il simbolo della libertà delle scelte: possiamo percorrerla verso la festa o verso i campi e gli affari. La libertà è così qualcosa di immenso e drammatico, non solo per noi, ma anche per Dio. L’uomo è il rischio di Dio: Il Dio della sala vuota, delle chiese vuote e tristi, il Dio del pane e del vino che nessuno vuole …
  3. L’abito nuziale che un commensale non indossa ed è gettato fuori. (All’entrata nella sala, ciascun invitato riceveva in dono uno scialle da mettersi sulle spalle come segno di festa). Certamente questo dono era stato offerto, ma uno degli invitati lo aveva rifiutato. L’uomo senza veste nuziale non è peggiore degli altri, ma non ha creduto alla festa, non ha portato il suo contributo di bellezza alla liturgia delle nozze. Non pensava possibile che il re invitasse a palazzo straccioni e poveracci.  Non ha capito che si fa festa in cielo per ogni peccatore pentito, per ogni figlio che torna, per ogni mendicante di amore. Si è sbagliato su Dio. “Sbagliarsi su Dio è un dramma, è la cosa peggiore che possa capitarci, perché poi ci sbagliamo sul mondo, sulla storia, sull’uomo, su noi stessi. Sbagliamo la vita” (D.M: Turoldo). L’abito da indossare per non fallire la vita è Gesù. Chiamati a passare la vita a rivestirci di Cristo, a fare nostri i suoi gesti,le sue parole, il suo sguardo, le sue mani, i suoi sentimenti, a preferire coloro che Lui preferiva.  

Innanzitutto siamo invitati a non pensare Dio lontano, separato; è dentro la sala della vita, in questa sala del mondo, è qui con noi, uno a cui sta a cuore la gioia degli uomini, e se ne prende cura; è qui nei giorni delle danze e in quelli delle lacrime, insediato al centro dell’esistenza, non ai margini di essa. La parabola ci aiuta a non sbagliarci su Dio. Noi pensiamo un Re che ci chiama a servirlo, invece è lui che ci serve. Lo temiamo come il Dio dei sacrifici, invece è il Dio cui sta a cuore la gioia; uno che ci impone di fare delle cose per lui e invece ci chiede di lasciargli fare cose grandi per noi. Ci invita non alla fatica della vigna, ma a nozze, ad una esperienza di pienezza, al piacere di vivere.

  Certamente la parabola ci sollecita: di fronte all’appello del Vangelo non è permesso di essere distratti né esitanti. Inoltre ricordiamo che il giudizio non riguarda solo i primi, ma anche i secondi, quelli che hanno accettato l’invito e possono illudersi di essere a posto. Il giudizio riguarda anche noi. L’essere entrati nella sala non è ancora garanzia. 

Ripensiamo però soprattutto al giorno del nostro battesimo, quando ci è stato detto: “adesso rivestiti di Cristo”. Il nostro abito è Cristo! Sentiamo eccessive le esigenze di partecipare a questo banchetto? Crediamo veramente alla gioia di questo banchetto a cui siamo invitati? Le cose di Dio ci importano più delle nostre? L’invito alla convivialità è anche invito a passare dall’economia delle cose all’economia delle persone, a prenderci del tempo per l’incontro, per gli amici, per Dio, per la vita interiore.